La beatitudine del tempo nella cantina di Bea

2BeaIl mio giro in Umbria, oggi tocca la cantina di Paolo Bea, a Montefalco. A dire la verità, ultimamente è una zona che frequento spesso, così, leggerete sicuramente anche altri articoli in merito.
Non sono moltissimi i nomi che in campo enologico riescono ad evocare un territorio. A volte sono nomi e persone sconosciuti a molti. La famiglia Bea risiede nella zona già dal 1500, come attestano alcuni documenti, e sicuramente da sempre la famiglia produce vino. Il proprietario, Paolo Bea, un ometto di circa ottant’anni, ci saluta, in quella che era la vecchia cantina, ci sorride.i suoi occhi hanno ancora una luminosità indescrivibile e dimostrano la passione del suo lavoro e ancora l’attaccamento al futuro e ai suoi vini. Oggi di cantina ne è stata costruita una moderna e veramente efficiente. un’opera d’arte che si incastra nella magia del territorio e allo stesso tempo se ne distacca, quasi fosse un templio. Ma, nonostante la sua modernità, i materiali sono legati alla natura, la cantina appoggia sulla roccia, dalla quale prende vita un fiumiciattolo, che rende assolutamente un microclima perfetto per i vini, in fatto di temperature, escursioni termiche e umidità. È affascinante entrare qui dentro. Un ovale, che raccoglie la luna, aperto da cielo a terra, mette in comunicazione tutti i piani della cantina, legando la terra con il moto degli astri e soprattutto della luna e delle sue fasi, che da sempre influenzano le pratiche di cantina. Al piano superiore, una sala dove vengono fatte appassire le uve, sia per il Sagrantino secco, che per il Sagrantino passito. La cosa straordinaria è il fatto che le uve vengono messe in delle cassette di legno, le quali vengono poi incastrate le une sopra le altre a formare affascinanti strutture elicoidali. Delle vere e proprie sculture, alberi che sembrano volerti parlare. È come se la cantina stessa fosse animata da un qualche spirito ancestrale. Si respira tutto lo spirito con il quale viene portata avanti l’azienda. Col ritmo cadenzato delle stagioni, ascoltando la terra, cogliendo l’espressione e l’espressività dei frutti. Insomma, come ci sentiamo dire: la natura va osservata, ascoltata, compresa. E così si ottiene un prodotto che diventa non solo espressione di un territorio, ma anche espressione di una filosofia di produzione., senza usare concimi chimici, fertilizzanti, anidride solforosa. Se un anno non riesce a dare il massimo, non si fa il Sagrantino, le uve vengono declassate (se così si può dire), per un’altra tipologia di vino. Ma torniamo alla vecchia cantina, tra le vecchie botti di rovere dove Paolo Bea, e il suo assistente ci hanno aperto i vini e ci hanno deliziato con questi prodotti. Qui si respira lo spirito della tradizione. I mattoni in cotto sul pavimento, il deposito laterale, che poi è diventato troppo piccolo. Pochi tavolini di legno, quelli di un tempo. Ci sono i solchi del tempo e dell’usura. È qui che assaggiamo i vini di Bea. Una magia. Ogni etichetta ha la sua storia da raccontare. Naturalmente, nulla viene lasciato al caso. Ma il tempo, i ricordi e le emozioni si condensano nel vino e nelle bottiglie, per dare appunto quel senso di continuità con la storia, con il territorio e con la cantina, anche ad una distanza lontanissima, a persone all’altro capo del mondo. Così nasce ad esempio Arboreus. Qui la vigna è ancora allevata con la vecchia alberata. Un’immagine senz’altro evocativa e affascinante. Ogni vino racconta la sua storia, il territorio, l’annata. Ogni vino segue le stagioni e il tempo. Al tempo si affranca come un amico. E noi possiamo bere un sorso di piacere.