L’archivio
Tra i Fondi che risaltavano maggiormente per la loro importanza storica, era sempre stato considerato di particolarissimo e notevolissimo pregio l’archivio Maria Alinda Bonacci Brunamonti conservato presso la Biblioteca comunale Augusta, che consta di 17 buste (o faldoni), contenenti rispettivamente : 330 testi autografi, 674 lettere ricevute, 90 minute di lettere inviate, 30 biglietti da visita, ritagli di giornali, 2 album contenenti 174 acquerelli, ordinato per temi e cronologicamente. La documentazione fu acquisita dalla Biblioteca Augusta di Perugia in due momenti: a metà degli anni Settanta (acquisto di due manoscritti contenenti testi, lettere e disegni della poetessa) e nel 1990, tramite l’interessamento dell’allora direttore Dott. Mario Roncetti e dell’allora Assessore della Regione Umbria, prof. Roberto Abbondanza. Tale Fondo può dirsi a pieno titolo un classico esempio di archivio privato, personale e famigliare di una scrittrice della borghesia di fine ‘800. Il fondo contiene insieme opere edite – parzialmente o interamente – ed inedite della medesima poetessa. Si segnala la corrispondenza in particolar modo con importanti personaggi del suo tempo: scrittori, politici, letterati, familiari. Si rende atto del grande lavoro di cura già operato sulle carte dal prof. Luigi Maria Reale, dal dott. Mario Roncetti, così come del grandissimo interesse nella riscoperta della poetessa perugina, contrassegnato da numerose pubblicazioni e manifestazioni locali e nazionali, tra cui spiccano in modo particolare diverse tesi di laurea e dottorato relative soprattutto alla parte poetica. Nel corso dell’incontro di questo pomeriggio il prof. Sandro Gentili ha, quindi messo in evidenza come questo lavoro d’archivio dia inizio ad una nuova fase degli studi non solo su Maria Alinda Bonacci Brunamonti, ma sull’intera cultura perugina e non solo di fine ‘800. “Se da un lato –ha precisato- quest’opera conferma il radicamento di Maria Alinda nell’ambito umbro e marchigiano, dall’altra è evidente come essa abbia cercato di aprirsi alla realtà culturale italiana, uscendo da un ambito limitato e restrittivo come quello in cui viveva. Ciò che, inevitabilmente, conferisce alla sua figura e alla sua opera una dimensione nazionale”
La vita
Maria Alinda Bonacci nacque a Perugia il 21 agosto 1841 primogenita di Teresa Tarulli di Matelica e del professore di retorica al Collegio della Sapienza, Gratiliano Bonacci, nativo di Recanati (luogo che Alinda sentiva particolarmente caro in quanto di legame con Giacomo Leopardi, alla cui casa, famiglia e biblioteca Alinda rimase sempre legata e in stretto contatto) , venne educata direttamente in famiglia, destinata ad un’istruzione di indirizzo classico ed additata, fin da tenerissima età, come enfant prodige. Sin da giovanetta conosceva con sufficiente approfondimento i classici latini, Dante, Petrarca, Leopardi e sapeva anche di greco; ebbe gusto ed amore per le arti figurative, e si applicò a studi filosofici. Frattanto cominciava a comporre versi per lo più d’argomento religioso. Votata naturalmente al disegno e alla pittura, «anche quando divenne libera e indipendente, trasformandosi in autodidatta, non mutò mai sostanzialmente né metodo né sistema». Nel 1854 la sua famiglia dovette abbandonare Perugia (il padre, sembra, si era compromesso politicamente), trasferendosi prima a Foligno, poi a Recanati. Fu un avvenimento che le ispirò malinconici “Versi campestri” (Perugia 1876), idilli ed elegie che ricalcano superficialmente movenze leopardiane e tassesche. Educata nella fede cattolica, dimostrò di essere – al contempo – patriota fervente: dedicò la sua prima raccolta di versi a Pio IX; visse animosamente e con un ardore tipico di chi è molto giovane gli anni in cui si faceva l’Italia; scrisse i Canti Nazionali sull’onda di quel fuoco che all’epoca infiammava gli italiani; soffrì per le stragi fatte; non trattenne aspri commenti mossi nei confronti di quello stesso papa a cui aveva dedicato i primi versi, il quale, si era macchiato delle stragi del celebre 20 giugno 1859 di Perugia. Maria Alinda Bonacci pare sia stata infatti la prima donna a essere ammessa, per una serie di contingenze eccezionali, al plebiscito nel novembre del 1860, quando si votò per l’annessione di Umbria e Marche al regno di Sardegna: fu ammessa al voto, unica donna, per speciale concessione del seggio di Recanati, ben 86 anni prima del suffragio universale femminile. Nel 1868, tornata a Perugia, sposò Pietro Brunamonti. Con il matrimonio raggiunse un sereno e maturo equilibrio spirituale che informò la sua esistenza negli anni successivi. Ad allargare e modernizzare il suo orizzonte culturale contribuirono l’amicizia e la stima di molti letterati italiani: il Mamiani, il Tommaseo, il De Sanctis e soprattutto Giacomo Zanella e il Maffei; in questo periodo Alinda studiò anche scienze naturali sotto la guida dell’abate Stoppani, e raccolse un notevole erbario che in seguito sarà considerato il più importante tra le opere manoscritte. La poetica della Brunamonti approda a questo punto a ingenue riprese tardosettecentesche, corrette da un vigile cattolicesimo; di qui l’adozione di un tipo di poesia didascalico-scientifica edificante. Nel complesso la sua opera in versi riesce a mantenersi a un livello di sufficiente compostezza formale e non manca di felici spunti descrittivi, anche se appesantiti da un’intonazione etico-riflessiva irrimediabilmente provinciale. Più agili, nel complesso, le opere in prosa: i cinque “Discorsi d’arte” e i “Ricordi di viaggio”, pubblicati postumi a Firenze nel 1905 e nel 1907. Nel 1897, mentre lavorava al testo di un discorso sul Leopardi, la poetessa fu colta da trombosi cerebrale e morirà a Perugia il 3 febbraio 1903. Tra le opere più celebri edite: Canti, 1856; Canti nazionali, 1860; Versi, 1875; Nuovi Canti, 1887; Flora: sonetti, 1898; Discorsi d’arte, 1898; Ricordi di viaggio. Dal suo diario inedito, a cura di Pietro Brunamonti, 1905. La cultura della Brunamonti, insolita per una donna della sua epoca, spiega anche i fenomeni di sopravvalutazione della sua poesia che certa critica contemporanea non esitava ad accostare a quella leopardiana. Omaggiata in vita e in morte persino dal Re e dalla Regina d’Italia, Alinda è ricordata da Benedetto Croce in quanto «poetessa risorgimentale», analizzata assieme ad altre figure di spicco all’interno della Letteratura della Nuova Italia; egli fu anche il primo a ricondurre la figura della poetessa perugina entro i limiti d’un onesto, serio dilettantismo.
Fonte: Comune di Perugia