“Quel che rimane di me…” E' stato presentato all’Archivio di Stato di Terni, l’ultimo libro di Sandra Ceccarelli “quel che rimane di me” (Bertoni Editore)

sandra ceccarelliTERNI – La scrittrice di origine ternana, ma residente a San Gemini ha affrontato in questa sua opera il drammatico problema legato alle disfunzioni alimentari – bulimia ed anoressia – che investe tante giovani di oggi. Un tema, certamente spinoso quello approcciato dalla scrittrice che, dato il carattere si prestava a disamine ed elucubrazioni scientifiche ma che la Nostra ha sapientemente eluso, trattandolo con sofferta leggerezza, con il solo scopo di raccontare una storia che inducesse alla riflessione.

Raccontare un’esperienza di vita, qualsiasi essa sia, non è certamente cosa semplice.

Ancor di più se si tratta d’affrontare temi legati alla sofferenza dell’anima o del corpo.

E chi decide di farlo – non importa quale strategia letteraria adotti – percorre un cammino irto d’ostacoli, giacché il primo ostacolo da superare è se stessi, la paura di confrontarsi con una realtà scomoda che si vorrebbe tenere nascosta, ricoprirla d’un manto d’oblio. Ma fino a quando? Sopita, rimossa all’apparenza, la voglia di narrare lavora sommessamente mentre l’illusorio scorrere dei giorni fatti di normalità e quotidianità segna il divenire del tempo. Allorché, inevitabile giunge l’evento e bisogna decidere cosa fare con esso…continuare a far finta di niente,  ammansirlo al proprio volere o, pur soffrendo, affrontarlo, sfidarlo, snidarlo. Il che comporta approfondire il tema della propria identità e relazionarsi con se stessi. E se si opta per questa seconda possibilità l’unica via è quella di rinunciare all’ambiguità di parole, atteggiamenti e comportamenti per assumere un ruolo responsabile, il più possibile costruttivo recedendo dalla propria dimensione autoreferenziale.

E’ quanto ha fatto Sandra Ceccarelli affrontando in questa sorta di diario romanzato uno dei temi più complessi che ci viene, se non quotidianamente, ma con una certa frequenza proposto e non sempre con esiti felici.

Privilegiata dal doppio ruolo di docente e madre ha modo di cogliere nei comportamenti della gioventù che la circonda, e financo all’interno del suo nucleo famigliare, quelle disfunzioni proprie di una generazione che (e rifuggo volontariamente dalle solite accuse alla società)  non sembra essere più in grado di separare il reale dal virtuale, di accettare la propria esistenza sfuggendo a quelli che sono i retaggi culturali aventi in sé pregi e difetti. Giovani che rifiutano il reale per rifugiarsi nell’immaginario deprivati delle capacità creative, oggi poco sollecitate; giovani dimentichi di scoprire pur tra innumerevoli difficoltà, il piacere del mondo magico dell’emozione. Un’emozione che, forse non solo loro, non conoscono più, o conoscono in maniera diversa perché dura o gliela fanno durare un istante…un attimo e via…lasciando il posto ad un’altra emozione (?), bruciata divorata, perché oggi è tutto usa e getta, anche il gusto di crescere.

Allarma la mancanza di fiducia, meglio sarebbe dire autostima che non è legata alla loro mancanza di capacità, piuttosto al desiderio di correre dietro ad aspettative irrealistiche o standard….Allarma l’incapacità, inoltre di non sopportare il dolore, si sentono inadeguati  nell’affrontare la seppur minima difficoltà. Quale via migliore se non l’autodistruzione quando non il suicidio quale estrema ratio???

 Teresa “tere-ciccia”, la protagonista di “Quel che rimane di me” vive male se stessa per quanto circondata da una famiglia modello il cui unico componente che sembra soffrire maggiormente è la sorella “bella, brillante, ben inserita socialmente, sportiva, brava a scuola”. Lei si riflette in uno specchio distorto che le rimanda la realtà che non vorrebbe ma che è disposta ad accettare. La vita di una ragazza grassa e goffa non è per niente semplice soprattutto in un ambiente dove il “fashion” ed il “cool” hanno il sopravvento.

Ed è con questo modo di vivere che si apre il romanzo il quale, invero, lascia intuire chi lo legge che il problema potrebbe essere legato alle disfunzioni alimentari, ma è così ben giostrata la prima parte dall’autrice che ci si lascia catturare simpaticamente dalle vicende tutt’altro che benevole della nostra eroina; la fatica di entrare nei vestiti, la distanza che la separa dalle compagne non amiche, dal sentirsi la regina brutta di un regno strampalato.

Allorché accade l’inatteso. Durante la messa in prova di un paio di scarpe, sofferto prologo di un compleanno che non vuole festeggiare, improvvisamente sviene. Diagnosi impietosa. Anoressia!

Lo specchio, quello delle mie brame, va in frantumi, quello specchio che ..specchia, riflette, rimanda, deforma, imita. E che ha  impedito di vedere la realtà. Restituendo  il riflesso di un corpo, frantumato, martoriato, che moltiplicato per 10, 100 volte finisce col porre la domanda forse più complicata:”Chi sono io?”

Una domanda che finisce per investire tutta la famiglia, laddove i genitori di Teresa appaiono increduli; la loro – a parer loro –  vita era perfetta.

 Sandra Ceccarelli intercala nel racconto le confessioni dei singoli personaggi che proiettano il loro status nello specchio/Teresa; costretti a guardarsi dentro, fors’ anche a cercare scuse, quantomeno ad interrogarsi. E così sfilano uno dopo l’altro il padre (“Che io e la madre siamo degli emeriti imbecilli che non dovevano procreare?”), la madre (“Forse è colpa mia. Anzi, no. Sicuramente è colpa mia. Mia e di Flavio. Accidenti a te Flavio ed alle tue certezze da ingegnerino”), la sorella (“ Perché Terry, perché? Io mi metto in ascolto, ma la tua richiesta di aiuto è così flebile[…] Io non la sento, non l’ho mai sentita”), l’amica (“Non sono una buona amica, dovevo intervenire in modo deciso”).

E di seguito, ispirandosi a storie reali ma all’uopo romanzate, l’autrice inanella una serie di testimonianze che evidenzia l’angoscia di queste giovani la cui causa va ricercata in un carattere timido insicuro facilmente influenzabile.

Teresa, e quanti le stanno vicino, dovranno imparare ad essere liberi da condizionamenti se vogliono ritrovare nella stessa identità di persone,una nuova capacità di relazione, un rapporto più pieno. L’importanza è che la famiglia prenda consapevolezza del problema, che incominci a guardarsi attorno.

Dovranno ritrovare il gusto di amare e di essere riamati.

L’esperienza negativa vissuta deve essere memoria intesa come provocazione per il futuro: coscienza consapevole della nostra dignità nell’amore – prima che per gli altri –  verso noi stessi perché “il mio prossimo sono io”, coscienza che è impegno per noi per tutti, cogliendo nella spiritualità del quotidiano angosce sofferte, trepidazioni vissute e liete speranze per andare “oltre” e insieme.