A Passo di Vinitaly! Nei giorni dedicati alla manifestazione enologica più importante d'Italia e di respiro internazionale, il tempo e lo spazio sembrano cambiare

Vinitaly 2019VERONA – Percorriamo nuovi quadranti a passo di Vinitaly; componiamo mosaici di assaggi e incontriamo chi nella vita difficilmente incontreremo, ci diamo nuove prospettive e nuove opportunità.
Ci si svela un mondo ricco e alla portata del nostro bicchiere. Tutto il mondo passa di qui, ogni vino è possibile. E anche io mi incammino a passo di Vinitaly.
Il mio primo giorno nell’arena, vado nella direzione in cui mi porta il mio senso dell’olfatto e il piacere del gusto, non ho dubbi, si inizia subito con il Piemonte. Anche Fabrizio è d’accordo.
Eccoci nelle Langhe. La metafora mi impone un’espressione: voglio morire qui, per rinascere qui. Fabrizio, non portarmi via.
Il Nebbiolo è di sicuro il vitigno che prediligo, non l’unico, in tutte le sue declinazioni e sfumature sensoriali e declinazioni. A partire da quello che chiamano base, si, ma a me piace con qualche anno sulle spalle indicati da un po di polvere sulla bottiglia, per poi raggiungere Barolo e Bararesco. A dire la verità, così a naso, preferisco il vecchio stile, quello delle grandi botti, e quì, con Fabrizio ci troviamo d’accordo, ma poi, mi piace assaggiare le espressioni che hanno contribuito a creare una nuova filosofia al Piemonte. Di certo non possiamo partire dall’alto, in senso di zone, così andiamo da da Ettore Germano, con il quale ci dilunghiamo in una formazione sui tappi: Stelvin o Sughero? Proprio li a pochi passi troviamo anche Conterno. Andiamo da Figli Luigi Oddero. Ci spostiamo da Giovanni sordo; Silvio Grasso, che usa botti Enormi! Passiamo da Emilio Vada e concludiamo con la Spinetta.
Perdonate l’elenco di nomi, ma parlare di tutti i vini assaggiati diventa un po complicato. Rimandiamo le recensioni ad altri tempi.
Qualsiasi viaggio importante e degno di nota, presuppone un compagno degno dell’esperienza Vinitaly, qualcuno che abbia il vino nelle vene, con Fabrizio giriamo da talmente tanto tempo tra cantine e banchi d’assaggio, che oramai lo riconoscono da lontano.
Dalla zona del Barolo, ci spostiamo in quella del Barbaresco, anche qui ci troviamo d’accordo: iniziamo con la cantina Produttori del Barbaresco; Giacosa; Roagna; Bruno Rocca azienda agricola Rabajà. Poi Fabrizio mi porta anche da Rizzi.
Insomma, quando si parla di Nebbiolo, dal base alle grandi annate di Barolo, o il più setoso Barbaresco, la scoperta è sempre sorprendente, soprattutto quando i vini si sono formati con il tempo e con la pazienza meditativa imposta dalla bottiglia, con l’ossigeno mediato dalla parsimonia del tappo di sughero.
Un giretto poi, tra gli stand per salutare Braida, e riassaggiare la sua Barbera, si, perché il vitigno è maschio, ma poi il vino è al femminile. E per caso incontriamo Vietti e Icardi. Insomma, come non fermarsi.
M la giornata non è poi così lunga e tutto il tempo a nostra disposizione sembra finire subito. È una percezione strana, perché assieme alla sospensione degli assaggi, il tempo sembra correre troppo veloce rispetto a quello che vorremmo degustare.
Dai rossi Piemontesi non si scappa, impone un momento di pausa che non si trasformi in nostalgia.
D’obbligo un saluto ai nostri amici di casa, andiamo in Umbria, prima allo stand di Lungarotti, con il Sangiorgio che sembra propriio aver avviato quella linea di fuga ben precisa verso il Superumbrian; andiamo poi da Barberani, per soffermarci poi un po in orario di chiusura nella nostra cara Umbria, tra il Sagrantino e il Grechetto.
Siamo stanchi.
L’Umbria ha fatto squadra da qualche anno e sono tutte insieme diverse cantine delle DOC, da Nord a Sud. Un occhio di riguardo all’Orvieto, ho notato che sta riscuotendo molti apprezzamenti; mi fermo al Castello di Corbara; e d’obbligo un saluto ai produttori di Sagrantino. Ecco, all’Umbria riservo altre note, perché così rischio solo di essere superficiale.
Dobbiamo uscire, la voce dall’alto ce lo impone.