Bernardino di Betto: il “Piccolo Pintor” caro ai papi Pinturicchio, egli fece proprio quel soprannome usandolo per firmare alcune opere

Bernardino di Betto: il “Piccolo Pintor” caro ai papi
San Bernardino richiama alla vita un uomo morto trovato sotto un albero – Pinturicchio

Un giorno del 1995, l’Avvocato Agnelli decise di soprannominare Ale del Piero “Pinturicchio”. Per quale motivo? Ce lo riportano le cronache del tempo. “Pinturicchio era un pittore raffinato, ma anche un uomo straordinariamente esile, particolare. Come quel suo nomignolo, quello strano soprannome che gli avevano dato gli altri che lo vedevano così gracile, che impazzivano nel vedere le pitture, i suoi meravigliosi affreschi. Era così unico e bravo Pinturicchio, che Papa Innocenzo VIII nel 1484 lo volle con sé in Vaticano. Doveva dipingere gli scorci, le bellezze d’Italia, il sublime. Doveva poetizzare tutto, fosse anche l’ordinario. Così come all’altro Pinturicchio, quello della Juventus, ancora adolescente gli era stato ordinato di disegnare estetica, pallonara improvvisazione. Roba poco standard e molto funzionale alle vittorie, in un rettangolo di erba e sudore.” (da “il Sole24 ore”) Queste caratteristiche erano somiglianti per l’avvocato Agnelli a Del Piero, fantasista che aveva tra le sue caratteristiche tecniche una straordinaria vena realizzativa, una notevole capacità di dribbling e una perfetta maestria nei calci piazzati come le punizioni ed i rigori.  Ora, non ci è dato sapere se gli appassionati di calcio e lo stesso calciatore sapessero chi era Pinturicchio; certo è che il suo nome è entrato prepotentemente nell’immaginario calcistico…bonta sua!
Per noi tutti, umbri perugini e non, l’artista altri non era che Bernardino di Betto soprannominato “Pintoricchio” che deriva da “piccolo pintor”, nato a Perugia tra il 1454 e il 1456 e morto a Siena nel 1513. Fu eccelso protagonista dell’arte rinascimentale, in particolare sulla scena romana tra l’ottavo decennio del Quattrocento e la seconda decade del Cinquecento. Non si sa molto sulla sua formazione artistica; ma è certo ch’egli abbia beneficiato nella sua crescita delle botteghe operanti a Perugia l’una di Benedetto Bonfigli (suoi gli affreschi nella Cappella dei Priori oggi incorporata nella Galleria Nazionale dell’Umbria, con le storie di S. Ercolano) l’altra della famiglia di minatori Caporali; ed è qui che si può collocare la sua prima attività giovanile; un’esperienza quella della miniatura che si rifletterà nella sua pittura, allorquando si cimenterà in una serie di cicli murali di grandi dimensioni. Ma ad influenzare ulteriormente la sua opera sarà la tavola di Gentile da Fabriano “Madonna col bambino” la cui “grazia e ricchezza dei colori di quello che è stato definito “l’altro rinascimento” di Gentile, rimarrà cifra fondamentale nello stile di Pintoricchio”. Alla base della cultura artistica umbra, hanno ulteriormente influito altre opere di grandi maestri che sono transitati per la regione lascaiando un segnmo del loro passaggio. Tra questi vanno annoverati Piero della Francesca (“Polittico di Sant’Antonio”,1455 realizzato per il monastero delle terziarie francescane di Sant’Antonio) e Filippino Lippi (catino absidale nel duomo di Spoleto). E inevitabilemente qtutte queste componenti sono confluite in una delle opere di rilievo all’inizio dell’ottava decade del ‘400 le tavolette con i “Miracoli di san Bernardino da Siena” che sono la risultanrte della collaborazione fra vari artisti tra i quali lo stesso Pinturicchio e il Perugino.Pur avendo i due formazioni diverse ebbero percorsi paralleli e, probabilmente, collaborarono insieme come nel caso delle citate tavolette. A ricordarci questa collaborazione è Giorgio Vasari nelle sue “Vite” dove scrive che Bernardino di Betto aveva “nella sua prima giovinezza lavorato molte cose con Pietro da Perugia suo maestro, tirando il terzo di tutto il guadagno che si faceva” e che “aveva lavorato in Roma al tempo di Papa Sisto [IV] quando stava con Pietro Perugino”. E fu proprio sotto Sisto IV che Roma visse una nuova vita, in quanto mirava il pontefice a rinforzare l’immagine della Chiesa, promuovendo la ricostruzione del volto della città. E molti artisti furono attratti da questo vento di rinnovamento; tra questi anche il Pinturicchio che nel 1477 iniziò a decorare la cappella di San Girolamo in Santa Maria del Popolo. Ancora una volta le strade di Pinturicchio e il Perugino s’incrociano; siamo nel 1481 e Pietro Vannucci con Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli firmano il contratto per portare a termine entro il 1482, la decorazione delle quattro partei lungo la Cappella Sistina; verosimilmente vi fu coinvolto anche il Pinturicchio la cui presenza non è avvalorata da documenti, ma accreditata dalla critica d’arte sulla base di elementi stilistici attribuiti a lui ne “Il battesimo di Cristo” e “La Crocifissione del fifglio di Mosè” entrambi ascritti al Vannucci e del quale il nostro fu un collaboratore. L’attività sotto il pontificato di Sisto IV, fu un’ottima credenziale per il pittore umbro che continuò ad operare anche per il nuovo papa, Francesco della Rovere, ovvero Innocenzo III (1484 – 1492). Per lui decora il Casino del Belvedere che in seguito venne inglobato da Clemente XIV e da Pio VI nel nuovo Museo pio clementino non senza gravi conseguenze: infatti gran parte degli affreschi del Pinturicchio e la cappella affrescata dal Mantegna andarono praticamente distrutti. Ma la grande impresa romana, fu l’appartamento Borgia, su committenza di papa Alessandro VI (1492 – 1502), al secolo Rodrigo Borgia.Qui, egli dipinse sei stanze di rappresentanza e due “cubicola” privati con storie allegorie e grottesche, contribuendo a creare una delle più alte testimonianze dell’arte muraria quattrocentesca della Roma pontificia. In proposito ancora il Vasari: “di fare alle sue pitture ornamenti di rilievo messi d’oro, per sodisfare alle persone che poco di quell’arte intendevano[…]Lavorò tutte le volte di stucchi e d’oro, ma perché non avevano il modo di fare gli stucchi in quella maniera[…] et ancor che molti innanzi a lui,[…] avessono ghiribizzatovi sopra,[…] non però avevano trovato il vero modo di fare gli stucchi simili a quelli che si erano in quelle grotte e stanze antiche (della Domus Aurea) ritrovati”. L’esperienza ed i frutti raccolti sotto tanti papi lo riportarono dapprima in Umbria, dove nel 1501 a Spello firmò la decorazione della cappella Baglioni voluta da Troilo Baglioni per la cattedrale della città. Nel cicloo ddei tre grandi affreschi raffiguranti “l’Annunciazione”, “L’adorazione del bambino” e “la disputa di Gesù tra i dottori”, vi si può ammirare anche il suo autoritratto con tanto di firma. Ma il capolavoro del Pinturicchio è in ogni caso lo splendido rivesti, mento d’affreschi della Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena, dove l’artista opera tra il 1502  e il 1509, quando avvenne l’ultimo pagamento. Il ciclo è composto di dieci scene che rappresentano episodi legati alla vita di Papa Pio II, al secolo il raffinato umanista Enea Silvio Piccolomini (1458 – 1464).Ogni scena è accompagnata da un’iscrizione latina che – trasse in inganno anche il Vasari – è disgiunta dalla rappresentazione scenica. In quest’opera egli dà sfogo alla sua abilità narrativa con personaggi che affollano la scena, dà vita a profondità prospettiche ove si colgono scorci di città e porti e l’intensa vita quotidiana; il tutto viene esaltato dall’uso dell’oro e colori brillanti, caratteristica questa dell’arte del pittore. Qual è stata l’eredità che lascia Bernardino di Betto? Certamente le decorazioni murarie con le storie dipinte ed il ricchissimo repertorio di grottesche e stucchi che furono un “dono” della Domus Aurea di Nerone. Un insegnamento, quello di Pinturicchio da cui prese le mosse Raffaello, rinnovandolo, e dal quale Michelangelo si staccò completamente.

Bibliografia: Claudia La Malfa, “Pintoricchio”, in Art Dossier, Giunti; Giorgio Vasari “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, Newton Compton; Piero Scarpellini “Perugino”, Milano 1984; S. Settis, D. Torraca ( a cura di) “ la Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena”, Modena 1998.