Santa Chiara della Croce patrona della Città di Montefalco Santa Chiara da Montefalco, conosciuta, anche, come Santa Chiara della Croce, è una monaca contemplativa vissuta in S. Croce di Montefalco, monastero che dopo una fase bizzocale, a indirizzo francescano, abbracciò, nel 1290, la regola di Sant’Agostino

Santa Chiara da Montefalco
Santa Chiara da Montefalco

MONTEFALCO (PG) – Quanto sappiamo di S. Chiara da Montefalco è dovuto principalmente al sacerdote francese Berengario Donadieu de Saint-Affrique, che nel 1308 e nel 1309 governava la diocesi di Spoleto in qualità di vicario del vescovo Pietro Paolo Trinci, dato che costui risiedeva presso la corte pontificia ad Avignone. Dalle dichiarazioni di vari testimoni e da ciò che riferisce Berengario sappiamo che all’età di sei anni, Chiara, figlia di Damiano e Iacopa, una famiglia benestante di Montefalco, entrò nel 1274 nel reclusorio, che suo padre nel 1271 aveva fatto costruire per la figlia maggiore Giovanna. Nel 1274 il reclusorio fu approvato dall’autorità ecclesiastica e Giovanna fu autorizzata ad accogliere altre postulanti. La prima fu proprio la sorella Chiara, già incline alla preghiera nella casa paterna. Chiara mostrò ben presto una predisposizione alla penitenza sostenuta da un carattere appassionato e volitivo. Essa era mossa da un sincero amore verso il Signore con una speciale devozione verso la Passione di Cristo. Dopo la morte del padre Damiano, la comunità femminile di Giovanna dovette subire varie prove, a volte anche gravi, che, comunque, confermarono la volontà del gruppo di dedicarsi alla preghiera e all’elemosina. Nel 1290 Giovanna, secondo Berengario e altri testimoni oculari, “domina mirabilis sanctitatis”, chiese al vescovo di Spoleto di trasformare il reclusorio in monastero. Il 10 giugno il prelato, Gerardo Pigolotti, domenicano, le rispose: “Da parte vostra ci è stata rivolta umile supplica di concedervi benignamente una regola sicura e quanto è necessario per una casa religiosa bene ordinata. Perciò, lodando nel Signore il vostro proposito e invocando il nome di Cristo, decidiamo con la presente di concedervi la Regola di S. Agostino, che vogliamo e ordiniamo sia in perpetuo e inviolabilmente osservata da voi e dalle vostre sorelle, che in futuro vivranno in codesta casa. Vi concediamo piena e libera potestà di erigere un oratorio con campana, nel quale lodiate Dio, un cimitero per la vostra sepoltura e la facoltà di ricevere come vostre compagne e consorelle le persone, che desiderassero abbandonare il mondo. Data presso la pieve di S. Fortunato di Montefalco, il 10 giugno dell’anno del Signore 1290”. Neppure la morte della fondatrice Giovanna, il 22 novembre del 1291, riuscì a mettere in crisi questa comunità agostiniana. Per volontà unanime delle monache e per ordine del Vicario diocesano, che presiedette all’elezione, Chiara dovette accettare l’ufficio di badessa, benché non volesse, e continuare nell’incarico fino alla morte. Consapevole della sua nuova responsabilità, diventò per le monache maestra e direttrice spirituale. Organizzò la vita comune, impose a tutte il lavoro manuale, lasciando tuttavia molta libertà a quelle che si sentivano più inclini alla preghiera.”Chiara – testimoniò la cugina Giovanna, sua segretaria spirituale – rivolgeva continuamente la massima sollecitudine per la salute delle monache, correggendo, istruendo, dirigendo, occupandosi attentamente dei loro bisogni, esaminando i loro casi e le loro azioni senza badare a se stessa e trascurando il riposo …” Chiara da Montefalco, verso Natale del 1293, cadde in una profonda crisi interiore, non riuscendo a darsi pace nel considerare la sua miseria spirituale e la sua ingratitudine verso Dio, perché ad esse attribuiva la causa della sua incapacità a sentire la presenza divina. Rimase assorta in estasi per alcune settimane e durante quella assenza dal mondo, raccontò di essere finita dinanzi al giudizio di Dio. Nel 1299 Chiara comprò un “terreno e una casa” per poter ampliare il suo monastero e nel 1303 poté finalmente realizzare il desiderio di costruire una chiesa che rispondesse alle esigenze della sua comunità e a quella della gente. La prima pietra, benedetta dal nuovo vescovo di Spoleto, il domenicano Nicola Alberti, fu posta direttamente dal vicario foraneo di Montefalco, don Bordone il 24 giugno 1303 e la chiesa fu dedicata alla Croce. Nella cappella di S. Croce, fatta affrescare nel 1333 dal canonico Giovanni d’Amelio, già rettore del Ducato e per anni vescovo di Spoleto, un affresco illustra il cuore della spiritualità di Chiara: il Cristo, vestito da pellegrino e il volto affranto, porta la croce col passo stanco. Davanti è inginocchiata Chiara come intenzionata a impedirgli di andare oltre: “Signore, dove vai ?” e il Cristo: “Ho cercato per tutto il mondo un luogo forte per piantare profondamente questa croce, ma non l’ho trovato.”Nel coro delle monache, in un altro piccolo affresco, Chiara, il viso proteso verso il Cristo e le mani alla Croce, esprime tutto il suo appassionato e sofferto desiderio e il Cristo, non più in cammino e con il volto quasi lieto, le dice: “Sì Chiara qui ho trovato il posto per la mia croce” e pare che la affondi nel suo cuore. La visione cui si riferiscono i due affreschi risale al 1294 e, come testimoniò la cugina Giovanna, con la quale si confidò sette anni dopo, Chiara rimase “con acutissimi dolori in tutto il corpo, per i segni della croce impressi da Cristo stesso. Da quel momento sentì nel suo cuore sensibilmente e per sempre la Croce.”Sotto la guida di Chiara il monastero fioriva e in un documento del 1305 si leggono i nomi delle sue venti monache, oltre le novizie. Pur senza dimenticare le sue frequenti estasi, né la sua straordinaria mortificazione nel mangiare, nel bere e nel dormire, o la sua unione a Cristo nei misteri della sua vita e della sua morte, Berengario attribuisce grande importanza alla dottrina spirituale di Chiara. “La quale – dice – parlava poco e brevemente quando era viva sua sorella. Tuttavia dopo, per riguardo all’ufficio ricevuto, istruì le sue monache con discernimento e grandissima competenza”. Istruì non solo le sue monache, ma anche i frati, i teologi, i predicatori, i giuristi, i vescovi, i dotti secolari, i peccatori, che nei diciassette anni del suo governo vennero al parlatorio del monastero, attratti dai fatti prodigiosi che si raccontavano di lei. Al dire di Berengario “Chiara nel modo di esporre la dottrina ebbe una virtù ammirabile, per cui si faceva intendere dalle menti più indurite e in virtù dello spirito, che in lei parlava, riusciva ad accendere il fuoco dell’amore e della divina dolcezza negli ascoltatori più freddi, in maniera che nessuno si stancava né si saziava di ascoltare i suoi discorsi … E, dopo averla ascoltata, ritornavano alle loro case con la sete e il desiderio di dedicarsi alla vita spirituale. Di Chiara ebbero grandissima stima i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, anch’essi inquieti e pieni di contrasti, e Napoleone Orsini, con i quali mantenne rapporti epistolari e dai quali riceveva spesso offerte che essa usava per i poveri. “La vita dell’anima è l’amore di Dio” diceva spesso Chiara, immersa in Dio con profonda umiltà. Per questo amore, a quarant’anni, aveva dato tutta se stessa. Già ammalata dagli inizi del secolo, nel luglio del 1308 fu costretta a letto. Il fratello l’aveva fatta inutilmente visitare qualche anno prima senza che i medici trovassero rimedio. Nel 1308 nel monastero prestava servizio il dottore Simone da Spello, il quale era molto preoccupato per i rapimenti mistici dell’ammalata: anche altri medici la visitarono, ma senza alcun risultato. Ella stava assorta in ascolto e in visioni interiori, di cui ogni tanto diceva qualcosa, senza che le monache e i medici capissero tanto. A volte la sua gioia era così grande che cantava: “tucti noi ci alegriamo e cantiamo Te Deum laudamus che Jesu mio me se revole.” L’ultima malattia e la morte di Chiara, cioè quel che fece e disse nei giorni 15, 16 e 17 agosto del 1308, sono stati trascritti con grande efficacia da Berengario. Egli si era portato a Montefalco dal 21 di quello stesso mese e per diversi anni fissò la sua residenza accanto al monastero della defunta abbadessa. Quanto ha scritto ha veramente dell’incredibile, tuttavia è difficile tacciarlo di ignoranza o di essere un visionario poiché era una persona colta e tutt’altro che sprovveduta dato che doveva assolvere l’incarico di inquisitore. Solo dopo aver visto di persona i fatti finì per trasformarsi in panegirista. Egli dunque ricorda che “nella festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria, due giorni prima di morire, Chiara fece in modo che tutte le sue monache si riunissero accanto al suo letto e, istruendole e confortandole, tra le altre cose disse loro «Figlie e sorelle carissime, io raccomando tutte voi e la mia anima a Cristo Signore crocifisso. Vi pongo nelle mani di Dio, insieme con la cura, che ho avuto di voi. Siate umili, obbedienti, pazienti, unite nella carità e vivete in modo che il Signore sia lodato in voi e che non si perda il bene, che Dio ha fatto alle vostre anime». E terminata la sua esortazione, lunga e accalorata che infervorò molto le sue figlie, ricevette devotamente l’Estrema Unzione, che lei stessa aveva chiesto. Il giorno seguente, rapita in contemplazione, diceva: «Lasciatemi andare». Il medico, che era andato per visitarla le chiese: «Dove vuoi andare Chiara?» Lei gli rispose: «Al mio Signore». La mattina del sabato in cui lasciò questo mondo Chiara chiamò le religiose del monastero e col menzionato letto portatile si fece portare nell’oratorio, dove con grande letizia … disse loro: «Ora non ho più nulla da dirvi. Voi state con Dio che io a Lui me ne vado». E detto questo, seduta sul letto e col tronco eretto esalò il suo spirito senza muovere le membra, né i sensi. Si affidò a Dio con tanta gioia che non si avvertì nel corpo alcun segno di ansietà o di dolore. C’è ancor di più: non inclinò il capo verso l’una o l’altra parte, ma con il suo colorito rosaceo, con gli occhi un po’ elevati e senza indizio alcuno di dolore fece il suo trapasso. Chiara, vergine chiarissima, passò dalle tenebre di questo mondo allo splendore della gloria celestiale nell’anno del Signore 1308. Le monache decisero subito di conservare il corpo “degno del cielo”. Per conseguire questo scopo le monache “più anziane” della comunità decisero di estrarle le interiora. L’episodio ha dell’incredibile ed è insolito nella agiografia del medioevo. Fu descritto minuziosamente da vari biografi, principalmente da Berengario, e venne confermato dai testimoni del processo per la sua beatificazione. Le monache aprirono il cuore per conservarlo e videro i “segni” della Passione, cioè la croce e il flagello. Della scoperta fu subito informato fra Francesco fratello di Chiara e il medico Simone da Spello. La notizia non poté essere nascosta e si propagò a tal punto che fra Pietro di Salomone il lunedì seguente dovette incamminarsi verso Spoleto per denunciare i fatti a Berengario, il Vicario della diocesi. Il martedì questi salì a Montefalco, convocò teologi, giuristi e medici per un esame del cuore. Essi conclusero che i “segni” non potevano essere né opera della natura né artificio umano. Anche l’autorità civile, prima in privato e poi in una pubblica riunione con tutti gli esperti, esaminò il cuore e stese un documento ufficiale. Berengario raccolse tutte le testimonianze e nella sua biografia questo episodio fu rigorosamente trattato così: “… fu aperto il cuore della vergine Chiara, nel quale si trovarono il tesoro della croce e tutti i segni della passione di Cristo, come lei stessa aveva predetto, benché le sue parole non fossero state bene intese … C’erano, infatti, dentro il cuore di tale vergine, in forma di duri nervi di carne da una parte la croce, tre chiodi, la spugna e la canna; e dall’altra parte la colonna, la frusta o flagello con cinque capi di fune e la corona. Nel sacchetto del fiele non era rimasto del liquido, ma vi si trovavano tre pietre rotonde, in tutto uguali, di colore oscuro e a mio parere indefinibili … che rappresentavano verosimilmente la Trinità … Delle quali si sentenziò, dopo un lunghissimo esame di medici e periti nelle scienze naturali, che in nessun modo potevano essersi formate per virtù naturali, ma solo per potenza divina”. Tali segni e le pietre furono visti e toccati molte volte anche da Berengario, “qui inspexi pluries et palpavi”. Furono mostrati a migliaia di devoti e curiosi di Montefalco, del ducato di Spoleto e di altre regioni, vennero portati a Roma per volontà del cardinale Giacomo Colonna, che “li esaminò con diligenza e ripetute volte insieme con il cardinale Napoleone Orsini e con molte altre persone onorevoli e degne di fede”. Purtroppo il tempo trascorso da allora non è passato invano e quei segni oggi sono confusi e non possono più impressionare come negli ultimi cinque mesi del 1308. Gli agiografi attuali sono perciò restii ad accettare quanto i documenti hanno tramandato e qualcuno parla di “tradizione leggendaria, dovuta a una fervente devozione e a nozioni molto imperfette di anatomia” (Bibl. SS 3, 1220). Si tratta di un duro giudizio che non rende giustizia alla verità storica. Qualunque sia l’interpretazione che si voglia dare di questo episodio, si tratta pur sempre di un fatto che rifletteva alla perfezione la nota caratteristica della spiritualità della santa di Montefalco e cioè la contemplazione assidua e il desiderio di condividere la Passione del Redentore. Illuminata da lunghissime e intense preghiere, purificata da una totale penitenza interiore ed esteriore, ella fu certamente guidata dallo Spirito Santo. Emanava infatti una forza spirituale a cui non era estraneo nemmeno il suo corpo e spesso così intensa che superava le distanze. Mistica eccezionale, spesso assorta nella contemplazione di Cristo e della Santissima Trinità, era tuttavia presente con tutta se stessa nella realtà in cui viveva. L’azione di Dio si manifestò allora in lei e continua a farlo al presente per suo merito e per i meriti di molte altre anime, che si sono santificate in quel monastero, la cui storia ormai supera i sette secoli.

Il Monastero di Santa Chiara
Chiara aveva una sorella e un fratello più grandi, Giovanna e Francesco. Giovanna con l’aiuto economico del padre fondò il reclusorio di San Leonardo di cui diventò la prima rettrice; in questo luogo le donne si ritiravano per vivere in isolamento e preghiera, ispirandosi alla regola di Francesco d’Assisi. Chiara osservando l’esempio della sua famiglia, a 6 anni entrò nel reclusorio di Giovanna dove trascorse sette anni. La comunità nel reclusorio cresceva, tanto che Giovanna e le donne si trasferirono sul colle di Santa Caterina del Bottaccio, in un edificio ancora incompleto. Purtroppo questo trasferimento non fu apprezzato in città. Stando a fianco di altri tre conventi più antichi, uno francescano, uno agostiniano e un altro benedettino, il reclusorio di Giovanna fu ritenuto dannoso per Montefalco, perché risultava essere un’ulteriore comunità che si aggiungeva alle altre esistenti che già vivevano di elemosina. Nel 1290 Giovanna fece richiesta al vescovo di Spoleto di permettere l’istituzionalizzazione della comunità, a cui fu poi introdotta la regola di Sant’Agostino. Con il nuovo Monastero della Santa Croce e di Santa Caterina d’Alessandria, si unirono le vocazioni di queste religiose: quello della vocazione eremitica alla base del reclusorio e quello della regola monastica. Da questo momento Giovanna diventò badessa sempre sotto il controllo del vescovo. Il Santuario fu costruito nel 1615 e sembra che il progetto fosse dell’architetto perugino Valentino Martelli, che era cittadino onorario di Montefalco. La realizzazione del Santuario di estrema eleganza classica sia nelle pareti esterne con capitelli e cornici, e sia all’interno a tre navate, si protrasse per un lungo periodo. Le spoglie di Santa Chiara si trovano al centro della chiesa dietro un’inferriata, all’interno di un’urna di argento massiccio. Sui lati, all’interno di due nicchie sono conservate alcune reliquie della Santa, tra cui la Croce, che era stata donata dal cardinale Pietro Colonna quando Chiara era ancora viva; un busto in argento dove è racchiuso il suo cuore; una croce d’argento con i  Misteri della passione di Cristo scoperti nel suo cuore, e tre calcoli trovati nella sua cistifellea. Sulla parte superiore dell’urna, c’è raffigurata l’immagine di Santa Chiara e il ritratto del committente Fabio Tempestivi, mentre, intorno sulla parete, ci sono alcune scene della vita di Santa Chiara. Il Santuario è ancora meta di numerosi pellegrinaggi. Oggi nel Monastero vengono creati numerosi prodotti artigianali dalle Monache Agostiniane per sostenere la sua attività. All’interno del Monastero esiste un giardino, il cosiddetto Giardino di Santa Chiara, di cui Chiara ne aveva cura e lo coltivava. In questo giardino le apparve Gesù Pellegrino, che le consegnò un bastone da piantare che poi germogliò, divenendo un albero molto grande e si moltiplicò; questo albero è denominato “Albero dei paternostri” o “Albero di Santa Chiara”. Con i grani di questa pianta le monache realizzano dei rosari a 10 o 50 grani o paternostri a 33 grani, quest’ultimo proprio come nella  tradizione antica che risale al Medioevo, quando i suoi semi bucati, venivano infilati in numero di 33, gli anni di Gesù, come una corona per la recita del Padre Nostro, prima del Santo Rosario. Altri prodotti realizzati a mano dalle monache sono in cuoio naturale vegetale con immagini che si trovano nei dipinti e affreschi del Monastero di Santa Chiara e sempre con tali immagini creano anche altre realizzazioni varie. Tra i prodotti, di certo però non poteva mancare la tradizione gastronomica con le sue prelibatezze.

Chiesa di Santa Chiara
Chiesa di Santa Chiara