Umbria: nello sguardo di artisti e letterati “La verde Umbria! La dolce Umbria!”. Così il romanziere e saggista Marcel Brion inizia il suo elogio ad una regione che ha stregato nel tempo artisti, musicisti, scrittori e poeti

Fonti Clitunno
Fonti Clitunno

Segnata da colline e monti, impreziosita da ridenti e antichi borghi, “santificata”, la nostra regione, unica a non avere approdo al mare, conserva il sé il dono del silenzio; una sensazione di pace e tranquillità che indubbiamente attrae e sa concedere a chi l’attraversa o la vive.
Meglio di me, che mi pongo quale semplice cronista, possono le parole lasciate in eredità con i loro scritti e memorie personaggi  e volti noti della Cultura mondiale che nel visitare l’Italia, anche fuggevolmente, sono stati catturati dalle bellezze artistiche e paesaggistiche della nostra terra.
Michel de Montaigne (1533 – 1592), lo scrittore e filosofo francese autore degli “Essais”, fu in Italia nel 1581 ed attraversò l’Umbria al 20 al 22 aprile: “Scendemmo in una amenissima vallata in cui scorre la Negra (Il Nera), che varcammo su un ponte alle porte di Terni. Attraversando questa città, vedemmo in piazza un’antichissima colonna ancora in piedi, sulla quale non vidi alcuna iscrizione; ma accanto c’è in rilievo la figura di un leone, con sotto, in vecchi caratteri una dedica a Nettuno, e Nettuno stesso scolpito in marmo con i suoi attributi[…]giungemmo per sera a Foligno, bella città sita nella detta piana, che all’arrivo mi ricordò quella di Saint Foi: questa però è assai più ricca e la città senza confronti più bella e popolata.[…]
In età giovanile anche il premio Nobel per la Letteratura nel 1946 Hermann Hesse (1877 – 1962) autore noto ai più per “Siddharta” e “Narciso e Boccadoro” ebbe a scrivere: “[…] mi godetti il più nobile, il più de3lizioso dei miei vagabondaggi giovanili peregrinando attraverso la ricca, verde Umbria collinosa. Percorrevo le strade di san Francesco (n.d.a, nel1904 scrisse un saggio biografico sulla vita del poverello di Assisi) e spesso lo sentivo camminare accanto a me, con l’animo riboccante d’amore inesauribile, salutando con gioia ogni fonte, ogni uccello, ogni cespo di rose di macchia[…] festeggiai la Pasqua in Assisi, nella chiesa del mio santo. Ancor oggi gli otto giorni in cui percorsi a piedi l’Umbria rappresentano per me il coronamento e il magnifico tramonto della mia giovinezza.
E sempre ad Assisi non si può non annotare la presenza di un grande della letteratura universale, quel Johan Wolfgang Goethe (1749 – 1832) poeta, drammaturgo tedesco autore de “I dolori del giovane Werther”, “Faust”, “Le affinità elettive” e soprattutto “Viaggio in Italia” che scrisse tra il 1813 e il 1817. Ignorando praticamente Perugia (“In un mattino incantevole lasciai Perugia e provi la felicità d’essere nuovamente solo. La città  è in bella posizione, la vista del lago straordinariamente amena;[…]” è da Assisi che rimane abbagliato e più in particolare dal tempio di Minerva.
dal Palladio e dal Volkmann sapevo che vi si trovava un magnifico tempio di Minerva, costruito nell’epoca d’Augusto e perfettamente conservato[…] le enormi costruzioni della babelica sovrapposizione di chiese in cui riposa San Francesco, le lasciai a sinistra con antipatia, pensando che là dentro venivano impresse le teste simili a quella del mio capitano. Poi chiesi a un bel ragazzo dove si trovasse S. Maria della Minerva;[…] Il tempio è bellamente posto a metà altezza del monte, al punto d’incontro di due colli, nel luogo detto ancor oggi “la Piazza”. […] Non mi sarei mai saziato d’osservare la facciata e la geniale coerenza dell’artista c’essa dimostra” Una descrizione attenta e precisa quella svolta da Goethe, che coglie anche le più sottili sfumature architettoniche, essendo egli stato un architetto. Se ignorò la basilica del Santo è per il solo fatto che già la conosceva da tempo.
Tra gli scrittori che hanno visitato l’ Umbria vanno senz’altro ricordati il padre de “I tre moschettieri” e “Il Conte di Montecristo” Alessandro Dumas (1802 -1870) che già aveva “dimestichezza” con l’Italia e gli italiani in particolare con Garibaldi che raggiunse, fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio, armi, munizioni e camicie rosse. Fu testimone oculare della Battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini, pubblicato nel 1861. Dumas era al fianco di Garibaldi anche nel giorno del suo ingresso a Napoli. Egli ebbe modo di fare una sosta a Perugia nel 1835 all’indomani della sua cacciata dagli Stati Pontifici a causa della sua attività di scrittore considerata politicamente sovversiva. Egli annota: “I miei carabinieri proposero per primi di fare una sosta nella patria del Perugino. Accettai, sicuro com’ero, per l’esperienza che ne avevo fatto al mio primo passaggio, di ritrovare là uno dei migliori alberghi d’Italia. Detti ordine al vetturino di portarci all’hotel della Posta[…]”.
E ancora, l’autore de “David Copperfield” e “Grandi speranze”, Charles Dickens (1812 – 1870) che ricorda “Perugia, munita di grandi mezzi di difesa dalla natura e dalla mano dell’uomo, sorge bruscamente su un’altura elevata, dal piano dove le montagne purpuree si confondono con l’estremo limite dell’orizzonte e risplende, in quel suo giorno di mercato, di colori radiosi che fanno risaltare mirabilmente i tetri, ma bellissimi edifizi gotici che l’adornano. Il lastricato della piazza del mercato è cosparso di prodotti campestri.[…]
Da par suo la scrittrice francese George Sand (1804 – 1876) forse più nota per la sua vita fuori dalle regole – fu amante di Chopin – che per le sue opere, ricorda Perugia nel 1855 come “ una città universitaria e poetica, una delle belle e dotte città della vecchia Italia. Vi si può diventare a piacere scienziato o artista. E’ ricca di antichità e di monumenti d’ogni epoca, la città è bella e pittoresca[…]
Ma non solo Perugia è stata la meta di illustri visitatori. Sempre uno scrittore francese André Suarès (1868 – 1948), uno dei pilastri fondatori con Gide e Valèri della “Nouvelle Revue Francaise” visitando Gubbio  scrisse che “è un tiranno di pietra, con il suo elmo, un palazzo e la torre, i più fieri e i più accigliati dell’Italia intera. Due palazzi che sono appollaiati l’uno sull’altro. E il tiranno, dritto e così in alto, così snello nella sua stretta armatura, erto, irrigidito sulla roccia, si addossa a un’altra roccia acuta dove appoggia il capo. La collina è la sua unica salvaguardia: egli può affrontare: non lo pugnaleranno alla schiena. Visto di profilo, il palazzo è l’elmo affilato che il signore oppone allo stocco e alle frecce. Le viuzze di Gubbio sono più scoscese dei sentieri in montagna. Il temporale a Gubbio è una guerra civile, una guerra di vie al fuoco greco, le bandiere dei lampi schioccano nell’incendio, e le fiamme infilano i crocevia di traverso. Le case dei due lati si mostrano i denti così da vicino che si mordono. Si può, dall’una all’altra gettarsi all’arrembaggio.
Con similitudini meno azzardate e pittoresche ma con altrettanta potenza elegiaca, il poeta inglese George Gordon Byron, meglio noto come Lord Byron (1788 -1824) giunse a Milano nel 1816 e risiedette a Venezia per 3 anni dove imparò l’italiano, il veneto e l’armeno. Nel suo poema narrativo “ Childe Harold’s pilmigrage” ( il pellegrinaggio del giovane Arnoldo), egli dedica il IV canto all’Italia è proprio da questo si estraggono questi versi dedicati alle fonti del Clitumno: “ o Clitumno, dalla tua dolcissima onda del più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale, per guardarvi dentro e bagnare le sue membra ove nulla le nascondeva, tu innalzi le tue rive erbose lungo le quali pascola il giovenco bianco come il latte. O tu, il puro Dio di acque miti e il più sereno d’aspetto e il più limpido, invero la tua corrente non fu profanata da carneficine, specchio e vasca per le più giovani figlie della bellezza,”. E sempre il Byron, riferendosi questa volta alla cascata delle Marmore, così canta: “dalla scoscesa altura il Velino fende il baratro consunto di flutti. Caduta di acque! Veloce come la luce, lampeggiante massa spumeggia, scuotendo l’abisso. Inferno di acque […]
Ed ancora videro e scrissero delle terre umbre il favolista Andersen, il musicista Mendelssohn, Hawthorne, quello de “La lettera scarlatta”, la scrittrice di “Gita al faro” Virginia Woolf e l’autore di “Giro di vite” Henry James… tutti con toni più o meno enfatici o semplicemente cronachistici ad esprimere il loro stupore, il loro entusiasmo per una regione che non poteva non conoscere testimoni e, diremmo oggi “promoter” migliori. Ed a noi, che questa terra la viviamo e di cui forse non sempre conosciamo né cogliamo le bellezze più o meno nascoste, il piacere di ripercorrere le loro orme ed essere a nostra volta testimonial di “lembi di cielo perso e verdi lance di cipressi”.