Umbria terra di poesia…nella poesia Ero appena arrivato in Umbria, a Perugia, ed una delle prime visite che feci fu alla Basilica di San Pietro, autentico scrigno d’arte

Aldo Capitini
Aldo Capitini

E passeggiando tra le navate approdai ad un balconcino, dove, protetta da un vetro appariva una firma: era quella incisa sulla pietra di Giosuè Carducci. La sua vista, mi procurò una certa emozione; sensazione che provo sempre ogni qualvolta mi trovo a toccare o camminare su superfici che hanno conosciuto passi illustri, facendomi così annullare d’un colpo lo spazio temporale che ci separa, fossero solo pochi anni o secoli.

Insomma, le memorie scolastiche alla vista dell’autografo carducciano, mi hanno riportato alla mente, oltre ai già noti “l’albero cui tendevi la pargoletta mano” o il più noto e bistrattato “t’amo o pio bove…”, i versi ch’egli dedicò alle Fonti del Clitumno:

Ancor dal monte, che di foschi ondeggia
frassini al vento mormoranti e lunge
per l’aure odora fresco di silvestri
salvie e di timi,
scendon nel vespero umido, o Clitumno,
a te le greggi: a te l’umbro fanciullo
la riluttante pecora ne l’onda
immerge, mentre
ver’ lui dal seno del madre adusta,
che scalza siede al casolare e canta,
una poppante volgesi e dal viso
tondo sorride:…

Egli al tempo della composizione dell’ode fu in veste di ispettore al liceo di Spoleto e volle visitare le fonti; sul luogo pensò l’ode che fu scritta tra il 2 luglio e il 21 ottobre di quell’anno. Tra le odi barbare questa è giudicata « la più alta, la più solenne, la più classica »

Ma la mia curiosità non poteva fermarsi ad un così popolare e autorevole autore, per cui andai a scoprire quanti altri, italiani e stranieri, avessero dedicato il proprio verseggiare alla verde Umbria.

Ed è stato così che mi sono imbattuto in autori notevoli soprattutto italiani con la sola eccezione di Aleksandr Block (Pietroburgo, 1880 – 1921) con la poesia “La vergine di Spoleto”

Sottile sei come un cero del tempio,
l’occhio hai trafitto da spade d’amore.
Io non ti chiedo un sol bacio: in silenzio
vorrei deporre sul rogo il mio cuore.

Io non ti chiedo una sola carezza:
t’offenderebbe la mia rozza mano.
Ma dal cancello ti guardo in purezza
rose di porpora cogliere e t’amo.[…]”

E tra i tanti non poteva certo mancare Lui, il Vate Gabrile D’Annunzio che dedica delle quartine in rima a Montefalco facente parte della raccolta de “Le Laudi – secondo libro “Elettra” nella sezione dedicata a “Le città del silenzio”

Montefalco, Benozzo pinse a fresco
giovenilmente in te le belle mura,
ebro d’amor per ogni creatura
viva, fratello al Sol, come Francesco.
Dolce come sul poggio il melo e il pesco,
chiara come il Clitunno alla pianura,
di fiori e d’acqua era la sua pintura,
beata dal sorriso di Francesco.

E l’azzurro non désti anche al tuo biondo
Melanzio, e il verde? Verde d’arboscelli,
azzurro di colline, per gli altari;
sicché par che l’istesso ciel rischiari
la tua campagna e nel tuo cor profondo
l’anima che t’ornarono i pennelli.

Ma nella raccolta egli omaggia anche Assisi, Spoleto, Gubbio, Spello, Narni, Todi, Orvieto in cui le città stesse si ergono a monito nei confronti dell’epoca del Poeta, epoca in piena crisi morale, politica e sociale, ed esaltano attraverso la rievocazione di gloriose vicende belliche o di esempi di talento artistico i valori della civiltà umanistico – rinascimentale, da cui l’Italia deve trarre auspici per una nuova rinascita.

Maschia Peroscia, il tuo Grifon che rampa
in cor m’entrò col rostro e con l’artiglio,
onde tutto il mio sangue acro e vermiglio
delle immortali tue vendette avvampa.

Certo segnato fui della tua stampa
un dì, tra ferro e fuoco io fui tuo figlio:
ancor vivo, qual fecemi il Bonfiglio,
là sul muro ove Totila s’accampa.[…]

Né si possono dimenticare Giorgio Caproni (“ Ma memorando è il tuono / del treno scoccato all’Umbria / all’improvviso – il frastuono / spento di colpo a Foligno / dove, posando in ore / dure di stelle, un afrore / rancido / estremo addio / suonò alla terra […]”; il giornalista critico d’arte e politico Antonello Trombadori (1917 -1993) dove nella poesia “Dalla più alta torre” così si esprime:

Fugge l’Umbria dall’occhio e tu nel cuore
penetri a fondo e mi racconti l’Umbria;
lembi di cielo perso e verdi lance
di cipressi confondi nel tuo amplesso
di nuvola leggera.[…]

Ma faremmo certamente torto ai nostri lettori se non citassimo gli illustri della nostra regione a partire da Aldo Capitini, fondatore della marcia della pace, ed il frammento che riporto è tratto da “Colloquio corale”

Ci siamo levati nella notte, e il buio era già aperto;
abbiamo guardato oltre le valli, le linee deste dei monti,
e la devozione dell’aria non mossa ancora dagli uccelli.
Verso l’ultima veglia non si è udito il canto del gallo.
Oh il rapido atto dei primi raggi. Scendono le acque liete di servire.[…]

Guardate le siepi questa mattina: quanta gentilezza circonda il loro intrico!
Oh mostrarsi dei sentieri fra i campi, e larghi declivi fino ai rustici pozzi.
Ed ecco dalla curva della strada, procedono in gruppo buoi e vitelli,
e allo scuotersi dei bianchi corpi, rosse strisce dal capo oscillano.
Da cipressi da lauri e mirti, abbiamo posto fronde su tutte le soglie.

Maria Alinda Bonacci Brunamonti (1841 – 1903) nota per aver composto versi d’argomento religioso, idilli, elegie e, rimasta profondamente colpita dagli avvenimenti politici perugini del 1859, poesie patriottiche.

In questi suoi versi ci offre un ritratto di Piediluco:

Piediluco! Chi ascese alla montagna
Tua pace e, come tremula conchiglia
Di madreperla, appiè dei colli vide
Il tuo lago adagiarsi: chi volando
A fior dell’onda sulla cimba live,
nell’armonico giunse aere del tuo
promontorio selvoso[…]

A conclusione di questa non certo esauriente rassegna poetica, ma m auguro tale da incuriosire quanti fin qui son giunti a leggerla, un posto d’onore lo si deve a Sandro Penna, il poeta perugino la cui poesia come ebbe a dire Garboli “è rinchiusa in una gabbia formale, composta, classica, così come è in fondo la radice culturale profonda della peruginità”.

Sono tornato a Perugia dopo quattordici anni. […] E il ritorno non è stato una delusione. […] Oggi, terzo giorno, rivedo tutto assai bello. Sono stato stamane a Ponte San Giovanni a ritrovare il fiume. Percorro la campagna piena del sole di agosto, una donna mi dice: l’allarme – e guarda Perugia lasciata in alto sotto il sole. […] Ma qui non si fugge, non suona nessun allarme. non c’è che camminare ugualmente tranquilli per la campagna”.

La poesia e la narrazione dei luoghi cari a scrittori e poeti; non solo un omaggio ma anche, attraverso la poesia scoprire e/o riscoprire luoghi che ci erano magari poco conosciuti e così poterli vivere sotto una nuova visuale, più riflessiva ed intima, cogliendone l’anima e l’essenza; In fondo, pensare alla poesia come “guida turistica” non è poi un’eresia, se questa ci permette di vedere e assaporare vicoli, piazze e panorami che hanno segnato il cammino di quanti sono stati stregati dal fascino della nostra regione.